Accade in Italia: la quarantena, la deriva autoritaria e il principio della rana bollita
Ancora
nauseato per la realtà che ho voluto raccontarvi nel precedente articolo
intitolato “#CoronaVirus – Le fonti avvelenate del diritto” ho deciso di
iniziare a scrivere subito la seconda parte che sarà incentrata su alcune
vicende, di cui sono venuto a parte ultimamente, che riguardano le esperienze
dirette di alcune persone rispetto alle norme della quarantena contenute, o non
contenute, nel DPCM 11 Marzo 2020.
Campagna
toscana, piccola frazione. Una donna di più di 60 anni transita sulla via,
all’incirca verso le ore 21:30, percorrendo i 3-400 metri che separano casa dei
suoi genitori ultranovantenni, e non proprio autosufficienti, e la propria
abitazione. In quel momento viene fermata dalle forze dell’ordine che a metà di
que li tragitto avevano installato un posto di blocco. Vengono fatte le solite
domande: Chi è lei, dove sta andando, da dove viene, ecc.
La
signora in questione si identifica con gli agenti e spiega che sta tornando a
casa, provenendo dall’abitazione dei genitori, dopo aver cucinato per loro la
cena e pulito casa visto che essi non sono più completamente autosufficienti.
Gli agenti prendono giustamente atto della situazione ma si dimostrano molto
sospettosi riguardo l’orario e chiedono: Perché così tardi?
Fermiamoci
un attimo. Così tardi? Ma è forse scritto da qualche parte che ci siano limiti
di orario per il transito di persone, che sia con mezzi pubblici, privati o a
piedi? In altre parole: il coprifuoco supposto da dove salta fuori? Nella
fattispecie, chi scrive, vi sta narrando che la signora aveva pulito casa con
aggiunta di preparazione della cena e pulizia della cucina… non mi sembra sia
incompatibile con un ritorno a casa per le ore 21:30.
Ad
ogni modo dopo altre domande gli agenti lasciano andare la signora ammonendola
che, la prossima volta, dovrà portare con sé il modulo di autocertificazione, e
che, comunque, e dovrebbe stare attenta agli orari in cui si muove.
Purtroppo
ad altri non è andata “così bene”, messo fra virgolette per evidenziare le
distanze che prendo dalle mie stesse parole in quanto considero a dir poco
intimidente un tale atteggiamento da parte delle forze dell’ordine le quali
agiscono, a detta di molti giuristi, al limite della legalità se non proprio al
di fuori di essa. Ma chi sono questi altri il cui racconto presenta dei
parallelismi inquietanti con quello da me testé narrato?
La
risposta è presto data. Di recente, mentre facevo ricerca in internet riguardo alle possibili critiche in
relazione alla cornice giuridica in cui sono collocati i provvedimenti emergenziali
del Governo, mi è capitato di leggere un articolo apparso sul sito
www.wumingfoundation.com dal titolo «È colpa di quelli come te se c’è il contagio!». Abusi in divisa
e strategia del capro espiatorio nei giorni del coronavirus.
Per
semplicità vi riporterò qui sotto le parti del testo dell’articolo; nota di
metodo: grassetti, corsivi e sottolineature sono stati da me modificati per mettere
in evidenza ciò che ritenevo più utile secondo i fini di divulgazione che mi
sono preposto. L’articolo è comunque riportato parola per parola senza alcun
cambiamento nella forma e contenuto.
***
«È
colpa di quelli come te se c’è il contagio!». Abusi in divisa e strategia del
capro espiatorio nei giorni del coronavirus.
Fino a venerdì 20 marzo, prima
dell’annuncio della chiusura di tutte le attività produttive, ho continuato ad andare al lavoro,
ovviamente rispettando tutte le precauzioni: abito sulla stessa strada
dell’ufficio – a pochi numeri civici di distanza –, nei pochi metri che faccio a piedi non incontro nessuno, e in sede in
quei giorni eravamo solo in due e ci tenevamo a distanza... Vivendo solo con il mio coinquilino, in una
casa molto piccola anche per due persone, rischio di impazzire.
... Avevo
preso allora l’abitudine, dopo aver staccato, di fare un giro largo per
rincasare. Niente di che, neanche cinquecento metri, praticamente il periplo
dell’isolato.
Per
noi in questi giorni paradossalmente il lavoro è più del solito..
spesso
ho staccato tardi, tra le 18 e le 20. A quell’ora per strada non c’era quasi
nessuno ed era facilissimo rispettare le distanze di sicurezza.
Venerdì
ero andato via particolarmente tardi, dopo le 20, e avevo iniziato il mio giro
per rincasare. A metà strada, meno di duecento metri da casa, sono stato
fermato da uno dei militari
che presidiano da anni la zona della movida del quartiere. Mi ha chiesto
dove stessi andando e ovviamente gli ho risposto che stavo tornando a casa. Ne
è seguita una sfilza di domande tra cui da dove provenissi, che lavoro facessi,
dove abitassi, se avessi l’autocertificazione
(che non avevo, sapendo che il modulo può essere compilato anche durante il
fermo), i documenti, ecc.
Quando gli ho detto dove abitavo mi ha
chiesto perché stessi andando nella direzione opposta (avrei svoltato al
successivo incrocio per girare intorno all’isolato e tornare indietro) e quando
gli ho risposto che approfittavo per fare due passi mentre tornavo a casa, mi ha subito detto che è vietato
passeggiare... gli
ho detto che non è vietato passeggiare, ma che comunque stavo tornando a casa,
ero in prossimità della mia abitazione, e che quindi era tutto consentito.
Lui ha iniziato a insistere con toni sgradevoli e ad arrabbiarsi, fino a quando
non sono arrivati gli altri cinque che con lui presidiavano la zona. Mi sono ritrovato letteralmente
accerchiato, tra l’altro in un assembramento di persone che non rispettavano la
distanza di sicurezza né tra me né tra loro.
Hanno
prima iniziato a turno a insistere con la storia del divieto assoluto di uscire
di casa, poi quando gli ho mostrato dal cellulare il testo del decreto del 9
marzo, smentendoli, hanno cambiato strategia, iniziando a farmi la morale e a
colpevolizzarmi elencando tutti i frame tossici di questi giorni:
«Se tutti facessero due passi le strade sarebbero affollate», «È colpa di
quelli come te se c’è il contagio e la sanità è al limite», «Sei un
irresponsabile». Per poi passare a insultarmi: «Noi vorremmo stare a casa e
invece dobbiamo stare dietro ai deficienti come te che a casa non ci stanno e
diffondono il contagio», «Rischiamo la vita per voi stronzi», e altro che non
ripeto… non mi hanno lasciato andare,
tirando fuori anche una bizzarra teoria
per cui le misure prevedono obbligatoriamente che in caso di spostamento, anche
necessario, si debba fare il tragitto più breve dal punto A al punto B e che
allungare anche solo di cinquanta metri è vietato.
Ma
ovviamente la cosa che li infastidiva di più, oltre il fare due passi, era
l’orario…Siccome insistevo a dire che non stavo facendo niente di
illecito, hanno chiamato i carabinieri per farmi denunciare. Sottolineo:
non hanno detto che avrebbero chiamato le forze dell’ordine per controllare e,
in caso, denunciare; hanno
esplicitamente detto che le avrebbero chiamate per farmi denunciare. Non so
perché abbiano chiamato i carabinieri e non la polizia, e ovviamente non so
cosa si sono detti ma ho pochi dubbi che la versione fosse di parte per
indisporli preventivamente.
Tra la discussione con loro e l’attesa
dei carabinieri sono passati più di tre quarti d’ora. Nel frattempo i militari
hanno, nell’ordine:
■ fermato un senzatetto che camminava barcollando;
■ fermato un tipo di colore dando per scontato che spacciasse, per poi dirmi: «Vedi, se esci di casa è pericoloso, puoi trovare lui», e quando ho risposto: «Ma lui che c’entra?» mi hanno detto: «Non è razzismo, è che potete contagiarvi», con una excusatio non petita, accusatio manifesta che rivela una coda di paglia lunghissima;
■ guardato male tutti quelli che passavano col cane: «Questi cani sono diventati magrissimi a furia di uscire così spesso»;
■ obbligato una di due signore sudamericane che erano uscite col cane a tornare a casa perché lo si può portare a spasso solo da soli, anche se le signore vivevano palesemente insieme, essendo uscite dallo stesso portone, quindi comunque a contatto tutto il giorno;
■ infine, parlato male di chi va a correre: «Tutti atleti ora!».
■ fermato un senzatetto che camminava barcollando;
■ fermato un tipo di colore dando per scontato che spacciasse, per poi dirmi: «Vedi, se esci di casa è pericoloso, puoi trovare lui», e quando ho risposto: «Ma lui che c’entra?» mi hanno detto: «Non è razzismo, è che potete contagiarvi», con una excusatio non petita, accusatio manifesta che rivela una coda di paglia lunghissima;
■ guardato male tutti quelli che passavano col cane: «Questi cani sono diventati magrissimi a furia di uscire così spesso»;
■ obbligato una di due signore sudamericane che erano uscite col cane a tornare a casa perché lo si può portare a spasso solo da soli, anche se le signore vivevano palesemente insieme, essendo uscite dallo stesso portone, quindi comunque a contatto tutto il giorno;
■ infine, parlato male di chi va a correre: «Tutti atleti ora!».
Queste
ultime cose a conferma che per loro non si trattava di rispettare o meno le
misure, cosa è permesso e cosa no, ma di obbligare le persone a stare barricate
in casa in spregio di ogni diritto.
Poi è arrivata la volante coi due
carabinieri che sono scesi rivolgendosi subito ai militari, ignorando le mie parole,
per rivolgersi solo dopo a me, e subito con toni minacciosi, insultando e
urlando. La discussione con loro è stata dello stesso tenore di quella già
avuta coi militari,
solo che sono stati addirittura ancora più minacciosi, gridando, e ponendosi a
distanza ancora più ravvicinata, l’atteggiamento di chi ti urla letteralmente
in faccia, e meno male che bisogna evitare il contagio.
Oltre ad attribuirmi la colpa delle morti di questi giorni hanno concluso
urlando: «Non devi uscire e basta. Devi
stare chiuso in casa quaranta giorni!». E hanno iniziato a compilare la
denuncia.
Mentre
i carabinieri scrivevano uno dei militari mi ha detto: «Hai visto? Se stavi
zitto e chiedevi scusa andava tutto bene, hai voluto rispondere e fare storie?
Così impari». ...Intanto
i carabinieri avevano finito di compilare la denuncia, e anche
un’autocertificazione in cui è scritto che alle 20:15 uscivo dal lavoro in via
xxx per recarmi al domicilio in via yyy e che stavo passeggiando per tornare a
casa. Tra l’altro, mi hanno impedito di compilarla da solo, lo hanno fatto loro
e mi hanno obbligato a firmarla. Nell’ora e luogo del controllo c’è scritto
«21:15», che in realtà è l’orario di quando hanno finito di redigere la
denuncia, mentre i militari mi avevano fermato almeno un’ora prima. Scritto
quindi apposta in quel modo per far sembrare che stessi camminando da un’ora.
Hanno anche ovviamente specificato l’indirizzo presso il quale sono stato
fermato, che dovrebbe dimostrare che per tornare a casa stavo facendo un giro
troppo lungo. Dopo avermi fatto firmare la denuncia, mi hanno lasciato andare
senza lesinare ovviamente un altro po’ di urla insultanti.
… Non
ho mai temuto per la mia incolumità fisica, ma sto temendo seriamente per
l’incolumità della mia libertà. Mi è sembrata una scena da dittatura militare o
da regime fascista, non è stato per niente piacevole e non lo nascondo.
Senza
contare la totale inutilità di tutto ciò per la prevenzione del contagio.
Ancora fino a quel giorno – venerdì 20 marzo – se fossi stato uno degli operai
costretti a lavorare in fabbrica avrei dovuto attraversare mezza città per
tornare a casa, in qualsiasi momento del giorno, in fasce orarie in cui avrei
probabilmente incontrato molta più gente, dopo essere stato a contatto con
decine o centinaia di persone sul posto di lavoro, ma quello sarebbe andato
bene.
Quest’episodio – oltre a racchiudere
incredibilmente in un colpo solo tutte le assurdità di queste settimane – ha
del kafkiano: dal come sono stato fermato a come si è svolta la vicenda, dalle
motivazioni fallaci addotte dai militari all’ignorare quanto affermavo decreto
alla mano, dai frame tossici con cui mi hanno buttato insulti addossa alla loro
violenza – per fortuna per ora solo – verbale. Fino, soprattutto, all’assurdità
dell’essere denunciato perché stavo facendo due passi intorno all’isolato per
tornare a casa dal lavoro – ma in realtà, come dichiarato da loro stessi,
perché non avevo sopportato in silenzio che abusassero arbitrariamente del loro
potere.
* Pietro De Vivo è editor di narrativa e saggistica per le
edizioni Alegre, con sede a Roma, e vicedirettore della collana Quinto Tipo diretta
da Wu Ming 1. Quando trova il tempo scrive di libri su Il lavoro culturale.
***
Alle
forze dell’ordine, e ai ministri competenti vorrei chiedere: sapete qualcosa
che noi non sappiamo? E’ in arrivo il coprifuoco e state solo tastando il
terreno per vedere di nascosto l’effetto che fa come cantava Enzo Jannacci? Un
po’ come il Metodo Juncker, vi ricordate le frasi dell’ex Presidente della
Commissione Europea rilasciate, quando non era in carica ovviamente, nel 1999
in un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel?
Wir
beschließen etwas, stellen das dann in den Raum und warten einige Zeit ab, was
passiert. Wenn es dann kein großes Geschrei gibt und keine Aufstände, weil die
meisten gar nicht begreifen, was da beschlossen wurde, dann machen wir weiter -
Schritt für Schritt, bis es kein Zurück mehr gibt.
Che
in italiano suona più o meno così: Prendiamo una decisione, la mettiamo sul
tavolo e aspettiamo un po' di tempo per vedere cosa succede. Se la cosa non
crea malcontento e proteste, anche perché la maggior parte delle persone non
capisce cosa sia stato deciso, allora andiamo avanti, passo dopo passo, fino al
punto di non ritorno.
Oppure
sono stati dati degli ordini precisi in totale sprezzo delle norme che il
Governo ha varato e che comunque, secondo molti giuristi, come abbiamo già
avuto modo di vedere, sono palesemente incostituzionali e che nella migliore
delle ipotesi si risolvono nel classismo dato dal fatto che ci può pagare gira
per la città mentre chi non ha reddito, o ne ha uno basso, deve essere timorato
delle istituzioni e delle forze dell’ordine?
A questo articolo di Wu Ming vi è una
postilla che mi accingo a riportarvi qui sotto. La Nota di metodo riportata
sopra resta valida.
Postilla
di Luca Casarotti
Per quanto ho potuto leggere e ascoltare
finora, non c’è giurista che non critichi la decretazione emergenziale
dell’ultimo mese. Sono stati avanzati forti dubbi sulla sua costituzionalità;
il che significa, nella nostra lingua eufemistica e brachilogica: i recenti
decreti della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) sono
incostituzionali, e solo l’opportunità politica li potrà salvare dall’essere
dichiarati tali. Così com’è unanime l’opinione che sia stato edificato un
impianto sanzionatorio estremamente fragile, che si sgretolerà a emergenza
finita. Le denunce verranno archiviate in blocco. Forse arriverà qualche
condanna simbolica, perché non si dica che tutta l’operazione s’è risolta in un
nulla di fatto.
Premessa questa critica unanime, non
sono unanimi le conseguenze che se ne traggono, specialmente rispetto al ruolo
assegnato nell’emergenza al diritto penale. C’è chi ritiene che si dovrebbero
trasferire in una legge o in un atto con la forza della legge – decreto
legislativo o decreto legge –, e poi per legge sanzionare penalmente, i divieti
introdotti dai dpcm. Sarebbe così rispettato almeno il principio di legalità,
quello secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge
entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 25, comma II, della
costituzione).
Attenzione, però. Anche ammesso che ci sia la volontà politica di farlo, per risolvere il
problema non basterebbe prendere i divieti così come sono ora e copiarli tali e
quali in una legge o atto equiparato. Oltre a quello di legalità, ci sono altri principi
costituzionali che una norma incriminatrice deve rispettare. Penso soprattutto
al principio di offensività, in
base al quale un reato può punire soltanto comportamenti che offendono un bene
giuridico (vale a dire un aspetto della vita materiale che il diritto ritiene
meritevole di essere tutelato), e a quello di sussidiarietà, per cui il diritto penale deve intervenire solo nei
casi in cui non sia possibile alcuna altra forma di sanzione del comportamento
illecito. Principi che i divieti
stabiliti nelle ordinanze ministeriali e nei dpcm emanati a partire dal 23
febbraio scorso non rispetterebbero nemmeno se venissero previsti dalla legge.
Insomma, per essere per lo meno conformi
alla costituzione, quei divieti dovrebbero essere profondamente ripensati. Ciò
che il governo, arrivato a questo punto, non può permettersi di fare: non può
permettersi di ripensare alcunché, ma non può nemmeno permettersi di trasferire
l’esistente in una legge. Sarebbe come ammettere di aver del tutto sbagliato a
gestire l’epidemia, dopo oltre un mese dal suo inizio. Sarebbe come dire d’aver
scelto strumenti inidonei.
C’è poi un’altra posizione, che
chiamerei «utilitaristica» o «del male minore». Quella di chi ritiene che in
fondo sia preferibile tollerare questi divieti mal formulati, invece di correre
il rischio di ritrovarsi con norme incriminatrici scritte con tutti i crismi.
Si sa che questi divieti non porteranno davvero a condanne su vasta scala.
Meglio allora denunce infondate oggi, che condanne fondate domani.
Intanto però è necessario rappresentare
la minaccia di una sanzione penale, che è la strada più efficace per ottenere
obbedienza ai divieti…
Più è ampio lo spettro dei comportamenti minacciati di sanzione, più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo.
E più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo, più chi ne fa parte si sente investito d’autorità e libertà d’azione.
Più a lungo si protrae il tempo in cui ciò accade, più quest’intervento viene normalizzato.
E più quest’intervento viene normalizzato, più i confini dell’emergenza si dilatano fino a non potersi distinguere da ciò che emergenza non è.
Più è ampio lo spettro dei comportamenti minacciati di sanzione, più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo.
E più è ampio lo spazio d’intervento dell’apparato repressivo, più chi ne fa parte si sente investito d’autorità e libertà d’azione.
Più a lungo si protrae il tempo in cui ciò accade, più quest’intervento viene normalizzato.
E più quest’intervento viene normalizzato, più i confini dell’emergenza si dilatano fino a non potersi distinguere da ciò che emergenza non è.
Se
si accettano tutte queste implicazioni logiche della premessa di partenza,
l’argomento «utilitaristico» o «del male minore» diventa «argomento del piano
inclinato»: inclinato verso cosa, lo dice Pietro in chiusura della sua
testimonianza.
Se
non se ne accettano le implicazioni logiche, allora si dovrebbe, sempre per
coerenza, rifiutare anche la premessa.
** Luca Casarotti è un giurista. Fa
parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki e fornisce consulenza legale alla
Wu Ming Foundation. Scrive di uso politico del diritto penale e di
antifascismo, principalmente su Giap e
su Jacobin Italia.
Ha una seconda identità di pianista e critico musicale.
***
Non
trovo sinceramente niente da aggiungere ad una postilla di cui condivido tutto.
Segnalo il fatto di non essere il solo a combattere ancora sperso in qualche
isola del Pacifico.
Mi
chiedo sinceramente per quanto tempo un Governo come il nostro possa continuare
ad abusare, non tanto della nostra pazienza, ma della nostra libertà, dei
nostri diritti e dei nostri corpi.
In
questo momento di crisi l’uomo solo al comando, il Presidente Conte, ha
dimostrato non solo di non saper gestire l’emergenza sanitaria, ma inoltre di
muoversi con la leggiadria di un elefante in una cristalleria per quanto
riguarda il profilo giuridico delle norme da lui stesso firmate. E menomale che
nel suo discorso di insediamento si era definito l’avvocato del popolo italiano!
Le
uniche costanti sono le sempiterne emergenze: dallo spread ed economia in
generale (non più utilizzabili ormai in quanto per ironia della sorte
iper-inflazionati) all’ambiente e alle emissioni di CO2, financo alla salute in
quanto emergenza principe, che ci ghermisce spingendoci a guardare in faccia i
nostri demoni più profondi, ovvero il nostro corpo in tutta la sua fragilità e
caducità. Il vincolo esterno dell’economia ha prodotto danni incalcolabili, il
vincolo esterno de Lascienza come metodo di governo rischia di essere ancora
più difficile da arginare proprio per la delicatezza dei temi trattati.
Non
si può essere sempre governati sotto la minaccia dell’emergenza, e se anche
l’emergenza ci fosse, a prescindere dalla sua natura, se viviamo ancora in uno
Stato di diritto che si dice democratico, la cornice giuridica nella quale si
opera è fondamentale. Forse non è un caso che le norme prodotte fin ora siano
state così raffazzonate, piene di ambiguità e con profili di incostituzionalità
così macroscopicamente ravvisabili. Alla luce di ciò l’assenza ed il silenzio
del Presidente della Repubblica acquista tutt’altro significato.
Visto che vengono punite, seppur con una
ammenda, le persone che rispettano le norme, forse quelle stesse norme, non
proprio incentrate sullo scopo di contenere i contagi, servono a qualcos’altro.
E se fosse così non c’è emergenza che tenga. Il Governo Conte si deve dimettere
seduta stante proprio come Chamberlain fu, dopo le sue dimissioni, sostituito
da Winston Churchill quando le sorti della guerra stavano volgendo a favore
della Germania nazista. Se non si è in grado di gestire una situazione di
emergenza il momento per cambiare le persone al comando è subito, anzi ieri,
non certo dopo quando del tuo paese e delle tue libertà rimangono solo delle
macerie.
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