Pensiero individuale e pensiero di massa (seconda parte)
Di Effe Bi
Il potere corrompe?
Potremmo
commentare questi esperimenti con le parole di Lord Acton “il potere tende a
corrompere e il potere assoluto tende a corrompere in modo assoluto”.
Nel
1972 Kipnis ha descritto cinque fasi progressive che condurrebbero chi esercita
il potere ad esserne corrotto.
L’accesso
agli strumenti di potere accresce la possibilità che si faccia ricorso al
potere. Per convincere le persone a seguire le nostre indicazioni possiamo
persuaderle od obbligarle. L’opera persuasiva richiede parecchie energie,
elargire premi e punizioni è molto più rapido.
Maggiore
è il potere usato, maggiore è la convinzione del detentore di poter controllare
l’operato del bersaglio. Chi esercita il potere tende a considerarsi l’unico
motore delle azioni altrui.
Ogni
qual volta il detentore di potere trae credito dall’azione del bersaglio, il
bersaglio è fatto oggetto di svalutazione. Chi esercita il potere tende a
considerare gli altri delle pedine da disprezzare capaci solo di obbedire agli
ordini.
Il
credito del bersaglio decresce in proporzione alla distanza sociale con il
detentore di potere. Chi detiene il potere ha un posizione sociale di livello
superiore rispetto a chi deve obbedire. Maggiori sono le distanze sociali, più
elevata è la svalutazione del bersaglio.
L’accesso
al potere ed il fatto di poterne fare uso possono accrescere l’autostima del
potente. Chi detiene il potere si sente migliore di chi non lo ha proprio in
virtù del far parte dei potenti. Ci si sente migliori, più bravi, eletti.
L’apprendimento come forma di controllo sociale
Possiamo
imparare ad essere più buoni?
Qualcuno
può insegnarci le regole della bontà?
Intorno
agli anni ’30 del Novecento, il fisiologo russo Ivan Pavlov propose una teoria
che collega l’apprendimento alla associazione di stimoli. Attraverso continue
ripetizioni di stimoli associati riuscì a suscitare determinate risposte in un
gruppo di cani. Egli chiamò questo processo di apprendimento passivo “Riflesso
Condizionato” ponendo l’accento sull’esistenza di determinati schemi di
risposta biologici (riflessi) associabili, tramite somministrazione costante di
precisi stimoli, a contesti differenti da quelli iniziali.
Partendo
da questi studi lo psicologo americano Barrhus Skinner elaborò una teoria
dell’apprendimento basata su premi e punizioni.
Secondo
Skinner accanto all’apprendimento passivo esiste anche una forma di
apprendimento attivo ma sempre fortemente legato alle stimolazioni esterne.
Chiamò questo tipo di apprendimento “Condizionamento Operante”.
Egli
afferma che attraverso una ricompensa (dalla approvazione personale a veri e propri regali) è possibile
sostenere a far riprodurre comportamenti considerati positivi e che per mezzo
di punizioni è possibile ridurre quelli potenzialmente negativi.
Secondo
Skinner, le persone mettono in atto liberamente le loro azioni ma è la risposta
sociale a determinare quali comportamenti l’individuo continuerà a proporre e
quali abbandonerà, sulla base di premi e punizioni sociali.
Attraverso
questa dinamica si struttura la personalità dell’individuo.
In
quest’ottica, prima si inizia a rispondere in modo corretto ai comportamenti
dell’individuo più giusta sarà la società.
Skinner
arrivò a progettare vere e proprie macchine automatiche per l’istruzione.
L’allievo,
collocato in una apposita stanza di apprendimento, deve seguire un ciclo di
lezioni. Arrivato alla conclusione viene interrogato dalla macchina tramite
test a risposta multipla. In caso di esito positivo l’allievo potrà passare al
ciclo successivo (rinforzo positivo), in caso di bocciatura dovrà ripetere il
corso (punizione). Secondo Skinner in questo modo l’allievo potrebbe gestire in
modo autonomo tempi e modalità del suo apprendimento e si eviterebbe qualsiasi variabile non
necessaria (come il ruolo del docente).
Nell’opera
«Walden 2» del 1948, Skinner propone una società utopica nella quale, per mezzo
del condizionamento operante, vengono rinforzati i comportamenti desiderabili.
Usare
il condizionamento per arrivare ad un rinnovamento della società.
Partendo
dalle fasi precoci dello sviluppo si potrebbero condizionare i comportamenti
delle persone ricompensando solo quelli “buoni”.
Nella
società condizionata diventerebbe inutile ogni sistema punitivo perché non
esisterebbero più i comportamenti “cattivi”.
Nell’opera
«Oltre la libertà e la dignità» del 1971, Skinner afferma che libertà e dignità
sono solamente delle illusioni che l’uomo si racconta al fine di dare valore
alle sue scelte.
Il
comportamento dell’individuo non sarebbe altro che il risultato degli
apprendimenti e dei condizionamenti sociali.
L’individuo
è obbligato a seguire in modo volontario le norme sociali.
Una
volta definito ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tramite premi e
punizioni, l’autorità può guidare dolcemente l’individuo, senza costrizioni.
Come
definire in modo univoco le categorie del “giusto” e dello “sbagliato” non è
dato saperlo.
È possibile guidare dolcemente le coscienze individuali verso l’autoritarismo?
Un
discusso esperimento farebbe
propendere la risposta verso il si.
Nel
1967 Ron Jones, professore di storia in California, coinvolse i suoi studenti
in un esperimento sociale.
Il
docente non riusciva a spiegare ai suoi allievi in che modo una democrazia
potesse trasformarsi in una dittatura; decise quindi di coinvolgerli in un
esperimento che si sarebbe svolto durante una settimana di lezioni.
Jones
parlando di democrazia coi suoi studenti li convinse che essa, permettendo agli
individui di esprimersi in libertà, potesse in qualche modo essere deleteria
per il funzionamento della società.
Durante
il primo giorno dell’esperimento Jones descrisse l’importanza della disciplina
e tramite alcuni esempi (sul modo di sedersi ai banchi o di uscire dall’aula) convinse
i suoi studenti che il loro comportamento di gruppo potesse diventare più
efficiente.
Il
secondo giorno Jones propose ai ragazzi di adottare un nome di gruppo per
distinguersi dagli altri. Suggerì la “La Terza Onda” e la classe accettò. Venne
introdotto anche un particolare saluto in grado di discriminare fin da subito
l’appartenenza al gruppo.
Ben
presto tra gli studenti prese piega l’idea che chi faceva parte della Terza
Onda era una persona funzionale, mentre chi ne era escluso era un soggetto disfunzionale.
Anche per questo motivo il terzo giorno la classe aumentò di numero. Ad ogni
membro del gruppo venne assegnato un ruolo (chi doveva disegnare il logo, chi
realizzare dei volantini, etc). Jones rimase stupito di come fossero gli stessi
studenti a riportargli situazioni in cui alcuni membri del gruppo non si erano
comportati in linea coi precetti del movimento.
Il
quarto giorno Jones si rese conto che l’esperimento stava sfuggendo di mano. I
ragazzi sembravano totalmente ipnotizzati dal gruppo, per alcuni stava quasi
diventando una motivazione di vita. I membri parlavano ormai soltanto di
disciplina e di fedeltà. Il professore decise quindi di porre fine
all’esperimento. Comunicò ai ragazzi che “La Terza Onda” era solo una piccola sezione
di un più grande progetto che coinvolgeva forze politiche a livello nazionale.
Invitò tutti a seguire in aula magna una videoconferenza che avrebbe svelato il
nome del candidato sui cui puntare per arrivare ad un cambiamento sociale.
Il
venerdì, ultimo giorno di lezione, con tutti gli studenti seduti in aula magna
Jones fece partire il video ma al posto del discorso preannunciato, mandò in
onda delle immagini di “rumore”. Il professore spiegò ai ragazzi che ciò
avevano vissuto altro non era che il processo con cui una democrazia viene
abbandonata quasi senza accorgersene.
Benché
questo esperimento non sia riportato nella letteratura scientifica i suoi
risultati sono in linea con quanto evidenziato in altre ricerche.
Esperimento sul falso consenso
Siamo
così portati ad uniformarci al pensiero comune che lo riteniamo in linea con il
nostro sentire anche quando non abbiamo informazioni al riguardo.
Nel
1977 i ricercatori Ross L., Greene D. & House, P. chiesero ad un gruppo di
studenti se, in cambio di una piccola ricompensa, sarebbero stati disposti a
girare il campus universitario per trenta minuti con un cartello pubblicitario
appeso al collo (Mangia da Joe).
Il
62% degli intervistati si dichiarò disponibile, il restante 38% declinò la
proposta.
Venne
poi chiesto agli stessi ragazzi di stimare la percentuale di persone che
avrebbero accettato o rifiutato la proposta.
Quelli
che avevano accettato la proposta risposero che la maggioranza degli studenti
avrebbe dato il consenso, quelli che la declinarono risposerò che anche la
maggioranza avrebbe fatto come loro.
In
assenza di informazioni ipotizziamo che la maggioranza delle persone la pensi
come noi; d’altra parte potremmo anche dire che facciamo una scelta e poi la
confermiamo pensando che sia quella della maggioranza.
Si
tratta comunque di una falsa credenza.
Ci
piace essere diversi dagli altri ma facendo parte della maggioranza degli
altri.
L’esperimento di Facebook
Nel
gennaio del 2012 Facebook, all’insaputa dei suoi utenti, espose alcuni iscritti
a contenuti emotivi positivi ed altri a contenuti emotivi negativi.
I
gestori del social network analizzarono i messaggi postati da questi utenti.
Quelli
esposti a contenuti positivi pubblicarono soprattutto post “positivi”, quelli
esposti a contenuti negativi pubblicarono in maggior parte post “negativi”.
Facebook
parlò di “contagio emotivo”.
Emerse
inoltre un effetto “astinenza emotiva”. Ad un terzo gruppo di iscritti vennero
mostrati contenuti neutri e dalla analisi dei loro post emerse un uso meno
marcato delle emozioni se paragonati ai restanti utenti.
Nessuno
può decidere quali emozioni dobbiamo provare ma qualcuno, forse, può
suggerircele.
Le regole della persuasione
Concludiamo
il nostro viaggio con le celebri regole della persuasione proposte da Robert
Cialdini.
Impegno
e coerenza: siamo portati a confermare le nostre scelte. Quando iniziamo un
progetto ci è molto difficile abbandonarlo perché facendolo saremmo costretti
ad ammettere un nostro errore. Ci piace sembrare coerenti coi nostri impegni,
verso noi stessi e verso gli altri.
Il
modo migliore per costringerci a seguire una dieta è comunicare agli altri che
abbiano iniziato a controllare la nostra alimentazione.
Se
qualcuno ci coinvolgesse “casualmente” in qualche iniziativa, una volta
compiuto il primo passo saremo in grado di fermarci?
Reciprocità:
se qualcuno ci fa un dono o un favore ci sentiamo in dovere di contraccambiare
il gesto. Succede anche quando l’omaggio non è né richiesto, né gradito.
Rifiutare
una offerta gratuita è sempre difficile, si rischia di passare per individui
sgarbati, ma se non intendiamo sentirci obbligati alla restituzione forse è
meglio dire subito di no.
Riprova
sociale: siamo portati a seguire i comportamenti e le scelte gradite dalla
maggioranza.
Abbiamo
già visto che ci piace sentirci spalleggiati dalla maggioranza, soprattutto
nelle nostre diversità.
Autorità:
siamo portati a credere a ciò che ci viene detto da figure che riteniamo
autorevoli o che sono ritenute tali dalla maggioranza.
Regola
ancor più vera in una società come la nostra costantemente definita
meritocratica.
Simpatia:
siamo portati a seguire le indicazioni di persone che si somigliano, che ci
stanno simpatiche, che ci sembrano come noi.
Occorre
tenere presente che i nostri giudizi non sono mai totalmente slegati dalle
emozioni.
Scarsità:
siamo attratti dalle cose rare o scarsamente disponibili.
Possederle
ci fa sentire speciali.
Conclusioni
Le
scienze sociali sembrano suggerirci che siamo molto meno liberi di quanto ci
piace pensare.
Per
Sigmund Freud “L'Io non è padrone in casa propria” perché deve obbedire a tre
tiranni: il mondo esterno, il Super-Io e l'Es.
Semplificando,
l’Io che rappresenta la coscienza deve rispondere sia alle richieste del mondo
esterno sia a bisogni e motivazioni che provengono da zone della mente poste al
di sotto del livello di consapevolezza (inconscio).
Non
siamo liberi nemmeno verso noi stessi e vivendo in società siamo costretti a
tener conto delle norme sociali che regolano il vivere quotidiano.
Storicamente
le società hanno seguito due modelli per guidare l’individuo nelle sue libertà.
Nell’ottica
di un Paternalismo Forte il modo in cui una persona giunge alle sue scelte è
irrilevante. Esistono scelte giuste e scelte sbagliate e gli individui devono
tenere determinati comportamenti . Sono liberi di scegliere se farlo con le
buone o con le cattive.
Nel
modello del Parternalismo Debole le persone possono essere incoraggiate a fare
determinate scelte o scoraggiate a mettere in atto determinati comportamenti
solo quando c’è il sospetto che le decisioni individuali non siano il frutto di
ragionamenti consapevoli ed informati.
Nelle
istituzioni del primo tipo si punta sulla coercizione, in quelle del secondo
tipo sulla persuasione.
Il
confine tra persuasione, manipolazione e coercizione è sempre molto labile.
Restiamo
responsabili delle nostre scelte.
Illuderci
di essere liberi o provare a gestire la nostra libertà?
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