Accade in Italia: Coronavirus e le fonti avvelenate del diritto
La sera del 21 Marzo,
abbiamo assistito all’ennesima edizione straordinaria, sempre verso le 22,
sempre di venerdì o di sabato sera (tanto per coglierci impreparati e farci
impaurire), nella quale il Presidente Conte, eroico uomo solo al comando, ha proclamato
le novità riguardo alcune norme da osservare durante la quarantena. Vista la
levata di scudi generale, soprattutto da parte di Confindustria, è stato detto
che il DPCM potesse slittare a mercoledì, ma intanto hanno cominciato a girare
un buon numero di bozze. Il cuore delle nuove disposizioni starebbe nella
chiusura di tutte le attività definite come non essenziali. Poco dopo le ore
19, della sera del 22 Marzo, il DPCM è stato firmato, dopo che il Ministero per
lo sviluppo economico ha finito di redigere la lista delle attività che
potevano rimanere aperte. La validità del decreto è fissata dal 23 Marzo al 3
Aprile.
L’altra “novità” è il
divieto per le persone di trasferirsi o spostarsi in un comune diverso da
quello in cui ci si trova. Il “nuovo” divieto, contenuto nel DPCM, è entrato in
vigore dal 22 marzo, grazie ad una ordinanza congiunta Salute-Interno. Ci
si potrà muovere da un comune all’altro, dunque, solo per “comprovate esigenze
lavorative, di assoluta urgenza” o per “motivi di salute”.
Al che ho pensato:
embè? Che c’è di nuovo? Già col primo DPCM non ci si poteva più muovere
liberamente sul territorio nazionale e gli spostamenti da Comune X a Comune Y
dovevano essere motivati tramite l’autocertificazione e nei soli casi di
assoluta urgenza, lavoro, motivi di salute, raggiungimento della propria
residenza o domicilio.
Probabile a questo
punto che la nuova norma non faccia altro che provocare nuovi dubbi nei
cittadini già provati dalla quarantena, dal lavoro con aggiunta di quarantena,
dalla mancanza di lavoro con aggiunta di quarantena quindi senza la possibilità
di poter accedere ad un reddito per chissà quanto tempo, in questo ultimo caso.
Sinceramente mi sarei
aspettato una stretta sui podisti, il grande nemico del nostro tempo. Da Gennaio
il nemico è cambiato spesso: prima era l’Iran, poi la terza guerra mondiale
scatenata dal conflitto USA-Iran, poi sempre il fascismo (in Italia un
evergreen come la canzone “Felicità” di Albano e Romina), poi la Cina che
infetta il mondo, poi il COVID19 ed infine coloro che fanno una cosa
inconcepibile: passeggiano e/o svolgono attività sportive all’aperto; cioè
rispettano il DPCM 11 Marzo 2020. Del resto in un paese in cui si organizza ad
arte un movimento (quello delle Sardine) per protestare contro l’opposizione (e
non tutta, solo la Lega, ma in particolare la figura di Salvini) piuttosto che
il governo cosa potevamo aspettarci di diverso? Niente di più, ergo ecco che
sono state prese di mira le persone che invece rispettava le norme. Ricordo
che, di solito, si puniscono coloro che le norme le infrangono. Scusate la
tautologia, ma ritengo sia utile ribadire l’ovvio di questi tempi.
L’operazione è stata
provvidenziale per quanto riguarda il fattore tempo. Sui social è partita la
condivisione di Meme (sempre con lo stesso stile, sempre con lo stesso
messaggio) nel momento in cui i cittadini, come ho sopra ricordato, vivevano
evidentemente situazioni di stress e preoccupazione. Ecco che quindi da
carcerati alcuni sono potuti diventare, tramite la delazione ad esempio, dei
carcerieri e rendere più sopportabile la prigionia dal loro punto di vista. Dei
Kapo i quali hanno iniziato a segnalare alle forze dell’ordine persone che
compivano atti contro la morale pubblica (come li hanno definiti alcuni
militari in una nota vicenda raccontata in questo link) passeggiando e
correndo. E magari, a volte, i destinatari di tali segnalazioni, che spesso
sono finite con delle multe piuttosto salate, sono stati bambini e ragazzi.
Aizzati fra di noi
nell’ennesima guerra fra poveri rischiamo di incrinare la tenuta dell’ordine
sociale, creando ferite e disillusioni profonde, e di favorire chi vuole
scaricare sui cittadini incolpevoli le responsabilità di anni e anni di tagli
alla sanità voluti in primo luogo dall’Unione Europea. Taglia qui, taglia là,
metti il numero chiuso, lamenta che ci sono pochi medici rispetto a Lamedia
Leuropea, e ti ritrovi un SSN al collasso al momento dell’emergenza. Questa, a
parere mio, è una delle cose che si vuole coprire con l’operazione Cadorna
(Cit.) che si concretizza appunto nel dare la colpa dell’insuccesso ai soldati.
Ma torniamo a parlare
della cornice giuridica entro la quale tutta questa follia si sta svolgendo. In
un altro articolo su questo blog abbiamo visto che tutto è cominciato con la
delibera del Consiglio dei Ministri del 31 Gennaio 2020. Tutto il resto non è
noia, oddio magari anche, ma di sicuro è storia. Una storia nella quale si sono
succeduti diversi DPCM, ovvero dei Decreti del Presidente del Consiglio dei
Ministri, più varie ordinanze dei dicasteri interessati a seconda del caso. E’
utile notare che il DPCM rientra nei Decreti Ministeriali, atti amministrativi
emanati da un ministro nell'ambito delle materie di competenza del
suo dicastero. Quando questo tipo di atto è emanato dal Presidente del
Consiglio dei Ministri prende la denominazione di DPCM. Per capirsi: un
DPCM non è un Decreto-Legge, cioè un atto normativo di carattere
provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di
necessità e urgenza dal Governo, ai sensi dell'art.
72 e 77 della Costituzione. Entra in vigore immediatamente
dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale ma gli effetti prodotti sono
provvisori. Infatti i Decreti-Legge decadono se il Parlamento non li
converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Per
quanto riguarda l’iter che deve seguire un Decreto-Legge esso è deliberato dal
Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e quindi subito
pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Fin da subito,
sentendomi peraltro molto isolato tipo il famoso “ultimo giapponese”, mi sono
chiesto, da cittadino, il perché della scelta del DPCM per derogare la
Costituzione in un momento di emergenza (mi riferisco ad esempio alla
restrizione della libertà di movimento sul territorio nazionale, un diritto
Costituzionalmente garantito, come quello alla salute, al risparmio, ecc). Dopo
tutto negli ultimi 20 anni si è assistito ad un ricorso che definirei bulimico
della decretazione-legge, anche quando non serviva. Come mai oggi il Presidente
della Repubblica, dopo tanto attivismo, è, per così dire, tagliato fuori dalla
gestione dell’emergenza visto che non firma i DPCM di cui sopra?
Mi sono poi chiesto se
tale decreto potesse effettivamente derogare la Costituzione ed avere ad
oggetto incriminazioni penali (ad esempio in caso di autocertificazione non
veritiera). La risposta non mi è poi così chiara, non faccio certo parte della
pletora de iTecnici, gliEsperti né tantomeno iCompetenti ma sono comunque
persuaso dal fatto che una cornice giuridica adeguata sia la base per uno Stato
di diritto che si dice democratico.
Evidentemente non ero
il solo a combattere ancora nelle isole del Pacifico! Un articolo uscito
qualche giorno fa su IlSole24Ore del 18 Marzo, dal titolo “Coronavirus, le
procure: «Difficile punire le autocertificazioni false»” di Marco Ludovico, mi
ha rincuorato in tal senso. In esso si può leggere, cito:
Dubbi
e scetticismo: se l’autocertificazione sottoscritta davanti a un agente di polizia
dopo un controllo sugli spostamenti non è veritiera, la probabilità di
un’azione penale del giudice sembra oggi tutta da dimostrare. Alcuni giuristi,
poi, notano come i divieti alla libertà di circolazione per
l’emergenza coronavirus hanno forza ed efficacia se adottati con
norma di legge e non con un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei
ministri).
L’articolo segue
enunciando un po’ di numeri circa i controlli, sempre di più in aumento:
Il
numero dei controlli deciso dal ministero dell’Interno (www.interno.it) guidato
da Luciana Lamorgese è in continuo aumento. Solo nella giornata di ieri quasi
173mila persone e circa 100mila esercizi commerciali sono passati al vaglio
degli agenti. Con denunce per 8mila soggetti e 240 attività. Dall’inizio dell’entrata
in vigore delle misure restrittive i controlli hanno riguardato oltre un
milione di persone con un totale di 43mila denunce. Gli esiti si vedranno.
Capisco che il
giornalista non avesse tutte le risposte ma “gli esiti si vedranno” dal punto
di vista di un cittadino non suona poi così bene, ne converrete con me.
Ancora:
La
procura di Genova frena
Il procuratore di Genova Francesco Cozzi e l’aggiunto Paolo D’Ovidio hanno indirizzato una nota ai vertici di Arma, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Polizia locale del capoluogo di regione oltre a tutti i colleghi della procura.
Cozzi e D’Ovidio fanno notare «l’elevato numero di denunce giunte a questo Ufficio per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione». C’è il rischio, dunque, di ingolfare di questo passo gli uffici giudiziari con una valanga di segnalazioni. A Genova come nel resto d’Italia.
Il procuratore di Genova Francesco Cozzi e l’aggiunto Paolo D’Ovidio hanno indirizzato una nota ai vertici di Arma, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Polizia locale del capoluogo di regione oltre a tutti i colleghi della procura.
Cozzi e D’Ovidio fanno notare «l’elevato numero di denunce giunte a questo Ufficio per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione». C’è il rischio, dunque, di ingolfare di questo passo gli uffici giudiziari con una valanga di segnalazioni. A Genova come nel resto d’Italia.
«Persone
non denunciabili»
Ci sono due passaggi cruciali nel testo della procura ligure. «Le persone non sembra possano essere denunciate ex art. 483 » del codice penale, vale a dire attestazioni false a pubblico ufficiale in un atto pubblico, punite fino a due anni di reclusione.
E anche se le dichiarazioni sono «non veritiere» per la procura genovese resta «l’impossibilità di qualificare come “attestazione” penalmente valutabile la dichiarazione stessa che - sottolineano i togati - non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti».
Ci sono due passaggi cruciali nel testo della procura ligure. «Le persone non sembra possano essere denunciate ex art. 483 » del codice penale, vale a dire attestazioni false a pubblico ufficiale in un atto pubblico, punite fino a due anni di reclusione.
E anche se le dichiarazioni sono «non veritiere» per la procura genovese resta «l’impossibilità di qualificare come “attestazione” penalmente valutabile la dichiarazione stessa che - sottolineano i togati - non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti».
Inapplicabile l’art. 495 c.p.
Meno che mai, poi, per i giudici genovesi si può invocare le «conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci (art. 495 c.p.)» così come è indicato dal modello di autocertificazione predisposto dal ministero dell’Interno.
«Il delitto previsto dall’art. 495 c.p. viene integrato esclusivamente - ricorda la procura di Genova - dalle false attestazioni aventi a oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona». L’ipotesi di dichiarare un’identità falsa è in effetti piuttosto remota.
Meno che mai, poi, per i giudici genovesi si può invocare le «conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci (art. 495 c.p.)» così come è indicato dal modello di autocertificazione predisposto dal ministero dell’Interno.
«Il delitto previsto dall’art. 495 c.p. viene integrato esclusivamente - ricorda la procura di Genova - dalle false attestazioni aventi a oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona». L’ipotesi di dichiarare un’identità falsa è in effetti piuttosto remota.
La
giungla incerta dei divieti
I più accorti rappresentanti delle forze di polizia hanno notato il dibattito giuridico in corso. I rilievi non sono di poco conto. Alessio Scarcella, consigliere di Cassazione, oltre a non menzionare l’art. 495 c.p. - un’esclusione in linea con la tesi della procura di Genova - in un articolo su Il Quotidiano Giuridico osserva come ci siano «scarsi precedenti giurisprudenziali» sull’art. 452 c.p. citato nell’ultima direttiva del Viminale attuativa del Dpcm del premier Giuseppe Conte: chi per colpa commette il reato di epidemia è punito con la reclusione da uno a cinque anni che arrivano fino a dodici se dal fatto deriva la morte di più persone.
I più accorti rappresentanti delle forze di polizia hanno notato il dibattito giuridico in corso. I rilievi non sono di poco conto. Alessio Scarcella, consigliere di Cassazione, oltre a non menzionare l’art. 495 c.p. - un’esclusione in linea con la tesi della procura di Genova - in un articolo su Il Quotidiano Giuridico osserva come ci siano «scarsi precedenti giurisprudenziali» sull’art. 452 c.p. citato nell’ultima direttiva del Viminale attuativa del Dpcm del premier Giuseppe Conte: chi per colpa commette il reato di epidemia è punito con la reclusione da uno a cinque anni che arrivano fino a dodici se dal fatto deriva la morte di più persone.
I profili di incostituzionalità
Scrive Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano, su “Sistema penale”: «Lo stato di eccezione, nel nostro assetto costituzionale, giustifica sì deroghe ma non indiscriminatamente». Ci sono «due problemi: uno, preliminare, di diritto costituzionale» e l’altro, aggiunge il professor Gatta, «di diritto penale».
Le restrizioni alla libertà di circolazione (art. 16 della Costituzione) e di iniziativa economica (art. 41) «hanno un problema di base legale». Le limitazioni sono possibili solo «con legge o atto avente forza di legge». Come il decreto legge n. 6/2020 con le “zone rosse” nel Nord Italia. Ma poi le misure nazionali sono state previste da un Dpcm, atto amministrativo. «La riserva di legge è sostanzialmente elusa» osserva Gatta.
Scrive Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano, su “Sistema penale”: «Lo stato di eccezione, nel nostro assetto costituzionale, giustifica sì deroghe ma non indiscriminatamente». Ci sono «due problemi: uno, preliminare, di diritto costituzionale» e l’altro, aggiunge il professor Gatta, «di diritto penale».
Le restrizioni alla libertà di circolazione (art. 16 della Costituzione) e di iniziativa economica (art. 41) «hanno un problema di base legale». Le limitazioni sono possibili solo «con legge o atto avente forza di legge». Come il decreto legge n. 6/2020 con le “zone rosse” nel Nord Italia. Ma poi le misure nazionali sono state previste da un Dpcm, atto amministrativo. «La riserva di legge è sostanzialmente elusa» osserva Gatta.
Violazioni risolte «pagando pochi euro»
«Il giudice penale ben potrebbe dubitare della legittimità dei provvedimenti adottati con Dpcm al di fuori delle originarie zone rosse» aggiunge il giurista. Non solo: «Il giudice penale potrebbe ritenere illegittimo il provvedimento la cui inosservanza si contesta all’imputato e, di conseguenza, disapplicarlo e pronunciare un’assoluzione oppure potrebbe sollevare un’eccezione di legittimità costituzionale».
C’è di più. Se il ministero dell’Interno ha seguito «la via della minaccia della pena» anziché, nota il professore, quella di «illeciti amministrativi punitivi», questa scelta «non persuade come ha autorevolmente sostenuto in un’intervista il prof. Giovanni Maria Flick».
Gatta sottolinea come «la tutela penale delle misure di contenimento del COVID-19 si regge oggi su un «reato bagatellare». L’art. 650 c.p. prevede infatti la pena dell’arresto fino a tre mesi, alternativa all’ammenda fino a 206 euro». È una «contravvenzione per la quale è possibile definire la vicenda penale con l’oblazione (o senza opporsi a un decreto penale di condanna) pagando pochi euro».
«Il giudice penale ben potrebbe dubitare della legittimità dei provvedimenti adottati con Dpcm al di fuori delle originarie zone rosse» aggiunge il giurista. Non solo: «Il giudice penale potrebbe ritenere illegittimo il provvedimento la cui inosservanza si contesta all’imputato e, di conseguenza, disapplicarlo e pronunciare un’assoluzione oppure potrebbe sollevare un’eccezione di legittimità costituzionale».
C’è di più. Se il ministero dell’Interno ha seguito «la via della minaccia della pena» anziché, nota il professore, quella di «illeciti amministrativi punitivi», questa scelta «non persuade come ha autorevolmente sostenuto in un’intervista il prof. Giovanni Maria Flick».
Gatta sottolinea come «la tutela penale delle misure di contenimento del COVID-19 si regge oggi su un «reato bagatellare». L’art. 650 c.p. prevede infatti la pena dell’arresto fino a tre mesi, alternativa all’ammenda fino a 206 euro». È una «contravvenzione per la quale è possibile definire la vicenda penale con l’oblazione (o senza opporsi a un decreto penale di condanna) pagando pochi euro».
Ricapitolando:
1. Sono stati usati i DPCM che
non hanno coinvolto la figura del Presidente della Repubblica come garante
2. Il DPCM non sembra essere lo
strumento più adatto a derogare la Costituzione e prevedere incriminazioni
penali
3. Il modello di autocertificazione
è scritto con i piedi in quanto la dichiarazione mendace è punibile solo se ha
ad oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona ex art. 495 c.p.
4. Mancano i precedenti
giurisprudenziali riguardo l’art. 452 c.p., e quindi le persone non sono
denunciabili.
5. Profili di
Incostituzionalità: Non è un’affermazione da poco quella secondo cui «Lo stato
di eccezione, nel nostro assetto costituzionale, giustifica sì deroghe ma non
indiscriminatamente»
6. «la tutela penale delle misure di contenimento del COVID-19 si
regge oggi su un «reato bagatellare». L’art. 650 c.p. prevede infatti la pena
dell’arresto fino a tre mesi, alternativa all’ammenda fino a 206 euro». È una
«contravvenzione per la quale è possibile definire la vicenda penale con
l’oblazione (o senza opporsi a un decreto penale di condanna) pagando pochi
euro». Nota a margine: questo punto
6 l’ho voluto riportare per intero, a poca distanza, poiché mi pare il più
indicativo della follia con la quale il governo sta gestendo l’emergenza, per
il nostro bene ed il nostro esclusivo interesse.
Possiamo quindi amaramente concludere che alla fine tutto si
riduce ad una sanzione amministrativa. Salvare delle vite si tramuta in un
volgare: se hai soldi per pagare “quei pochi euro” (e per chi vi scrive ora non
sono certo pochi) allora puoi pascolare per strada, se sei povero dovrai essere
timorato dello Stato. A tutto questo aggiungete la paura che il vicino di casa
chiami le autorità perché vostro figlio gioca con gli amichetti nel parco adiacente
casa nella campagna creando un pericoloso assembramento.
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