Il collasso del sistema e l’intrepido nuovo mondo.
Di Pier Paolo Dal Monte
The best we can hope for the role of progress in a universe
running downhill as a whole is that the vision of our attempts to progress in
the face of overwhelming necessity may have the purging terror of Greek
tragedy. Yet we live in an age not over-receptive to tragedy.
Norbert
Wiener
La forma
che il sistema-mondo aveva assunto negli ultimi 40 anni, all’indomani dei
cosiddetti “trent’anni gloriosi”, è stata definita in vari modi: “globalizzazione”
(anche nella variante “globalizzazione finanziaria”), “regime di accumulazione
flessibile” (David Harvey), “fase di espansione finanziaria del ciclo di
accumulazione” (Arrighi, Wallerstein).
Per
semplicità, adotteremo la designazione più comune, anche se piuttosto vaga,
ovvero “globalizzazione”, una sineddoche che ha il pregio di alludere a tutte
le altre descrizioni, senza pretendere di essere precisa.
Esso era
contraddistinto (usiamo il passato perché riteniamo che quel mondo sia
finito) dalla libera circolazione
di capitali e merci, dalla presenza di organismi regolatori con forti poteri
coercitivi de facto, se non de jure
(FMI, WTO, varie agenzie dell’ONU), dall’egemona Statunitense sul
sistema-mondo, sul piano economico, “culturale” e militare (egemonia in
progressiva attenuazione, data l’emergenza di potenze regionali, fino ad
arrivare alla quasi-multipolarità odierna).
Per ciò
che riguarda il vecchio continente, dalla costituzione di un organismo
multinazionale come l’Unione Europea, che, al’inizio era semplicemente un’area
di libero scambio (il MEC), e che nel corso del tempo, assunse un potere
progressivamente crescente, tale da creare un’area valutaria comune (comune
solo ad alcuni stati nell’ambito dell’Unione) e da assumere la forma di
organismo quasi-legislativo e quasi-esecutivo per gli stati che ne fanno parte:
una sorta di super-stato in perenne divenire.
Tale
sistema era basato su un’economia dalla forte impronta finanziaria (anche la
manifattura, de facto era divenuta un’impresa finanziaria), dominata da
grandi imprese transnazionali , in genere, con sede legale in paesi a fiscalità
agevolata; basata su una divisione internazionale del lavoro assai accentuata;
su una frammentazione delle filiere produttive (anglorfonicamente dette: “International
suppy chains) ed un’interconnessione estrema delle catene di merci, tale che
ogni luogo del globo dipendesse da altri per la propria sopravvivenza fisica ed
economica.
La globalizzazione è stata spacciata come
la grande opportunità, per i ricchi come per i poveri, per i potenti come per
gli umili, per i sapienti come per gli insipienti; la sua promessa implicita
era quella della Prosperità Universale, e il suo compito quello di rimuovere
tutti gli ostacoli che relegano questa promessa nel reame delle speranze. La
sua promessa implicita era quella di abbattere tutti limiti che impedivano la
realizzazione del sogno postmoderno di un mondo unificato dal mercato: i limiti
al libero commercio e alla libertà delle imprese, alla libera circolazione delle merci e del
denaro. Il capitale, con la sua “mano invisibile” avrebbe dettato le leggi di
questo nuovo ordine mondiale; i
popoli e le nazioni sarebbero stati gli obbedienti servitori.
Questa guerra di liberazione ha visto il
trionfo, su tutta la linea, di siffatto
dogma. Tutte le barriere che impedivano alla mano invisibile del mercato di tenere il mondo tra le sue
carezzevoli grinfie furono abbattute (peraltro dalle mani, assai visibili, dei
vari legislatori).
Così, i
capitali poterono errare indisturbati verso innumerevoli mete sparse per il
vasto mondo, le imprese furono libere di traslocare in qualsivoglia sito
consentisse loro i maggiori vantaggi comparativi, cosicché cornucopie di merci
a basso costo potessero invadere i paesi nei quali le merci non si producevano
più.
E l’invocazione
Proletarier aller Länder, vereinigt euch!”
s’inverò nell’unirsi delle masse nella ciclopica licitazione al ribasso del
meretricio globale.
Un “intrepido
nuovo mondo” nel quale ciò che era bene per il mercato (la cui autoregolazione è
sempre stata ex lege) lo era, sic et simpliciter, per il globo terracqueo nella sua interità. La sfera
politica, le istituzioni ed il corpo sociale tutto dovettero, quindi,
rinunciare a qualsivoglia sovranità affinchè la figura escatologica del mercato
potesse stendere la propria salvifica mano invisibile sopra le povere anime
(altrimenti) dannate.
Tutto
questo ha costituito l’estremo tentativo di rianimazione di un sistema morente,
mediante l’estensione della sfera economica e l’imposizione del dominio della
forma-merce a tutti gli ambiti dell’esistente. Con il crollo del blocco
sovietico e la conquista della Cina da parte dell’economia di mercato (seppure
in modo peculiare) scomparvero gli ultimi ostacoli geopolitici che potessero
impedire l’instaurarsi della dittatura mondiale del mercato.
Per
alcuni fessacchiotti, intossicati da un’escatologia da accattoni, questa
mirabolante costruzione assunse al rango di Gerusalemme Celeste, nientemeno che
la “fine della storia”.
Purtroppissimo
, però, la storia non finisce: il sistema creato dalla visibilissima “mano
invisibile”, con la complessità inenarrabile che lo caratterizzava e le
innumerevoli interazioni e retroazioni che lo informavano, era estremamente fragile. Non era un TINA[1]
ma un “sistema dissipativo” (per usare la definizione di Ilya Prigogine), assai
lontano dall’equilibrio e gravato, progressivamente, da una instabilità sempre
più accentuata. Come il famoso battito d’ali della farfalla amazzone che
avrebbe potuto provocare un uragano in Texas, così qualsivoglia pensiero, opera
o omissione, per quanto piccolo, poteva scatenare eventi catastrofici, con “effetto
domino” tale da coinvolgere l’intero globo terracqueo..
In fondo,
chi avrebbe potuto pensare che i sontuosi mutoi immobiliari concessi con
larghezza alle spogliarelliste di Las Vegas, alle fantesche di Miami o ai
burger-flipper di Los Angeles, graziosamente impacchettati sotto forma di obbligazioni,
avrebbero portato al collasso del sistema finanziario mondiale?
Il mondo ai tempi del Covid19
La
sorpresa arrivò sottoforma di un organismo infinitesimale, piccolo quanto può
esserlo un virus, ma dotato di una certa letalità per l’ospite[2],
che si diffuse per il mondo grazie ad una delle meraviglie della
globalizzazione: la compulsione
allo spostamento, attraverso tutto il globo, di masse inenarrabili
di persone, alcune delle quali,
ahinoi, come tante uova pasquali, recavano al proprio interno una sorpresa che
fu chiamata “Covid 19”.
E, come
per incanto, l’intero castello di sabbia della globalizzazione (con tutto
quello che abbiamo descritto poc’anzi), costruito con tanta cura, si è letteralmente dissolto nello
spazio di poche settimane. Il mirabolante “mondo senza confini”, il “villaggio
globale”, così osannato dai canarini dei rentier
, si è contratto a tal
punto da essere ritornato all’epoca della civiltà dei comuni.
Il mondo
si è fermato e, ovviamente tutte le strutture, sulle quali si fondava, sono
crollate in una reazione a catena tale da smantellare, via via, la forma di
mondo costruita precedentemente.
Di
seguito, i fatti ai quali stiamo assistendo:
●
Chiusura delle frontiere tra gli stati;
●
Azzeramento dei movimenti di persone e di
merci;
●
Collasso dei trasporti e delle filiere produttive;
●
Collasso dell’industria manifatturiera, del commercio e dei
servizi;
●
Collasso delle compagnie aeree, di navigazione e trasporto
terrestre;
●
Collasso dell’industria turistica;
Tale
situazione evolverà, con ogni probabilità nella seguente catena di eventi:
●
Fallimenti a catena di banche, compagnie assicurative e
finanziarie;
●
Fallimenti a catena delle industire manifatturiere, di
trasporti e turistiche:
●
Contrazione drammatica del credito a famiglie e imprese;
●
Svalutazione severa dei cespiti (mobiliari e immobiliari);
●
Carenza di mezzi monetari in circolazione;
●
Disoccupazione di massa;
●
Sofferenza di qualunque tipo di credito;
●
Collasso delle entrate fiscali e previdenziali degli stati;
Già, l’effetto
farfalla…
Ciò che,
ora, questo mondo rischia non è più
quello che era considerato il supremo spauracchio del sistema che è appena
crollato, ovvero la crisi economica sic et simpliciter, bensì un catastrofico
collasso della propria base materiale (necessaria per la sopravvivenza delle
genti ).
Perché il
mondo dominato dalla mano invisibile del mercato, non è fatto per le emergenze,
tant’è che ci stiamo rendendo conto che, finanche i paesi ricchi e avanzati
faticano a procurarsi prodotti semplici come le mascherine
(parliamo non solo dell’Italia, ma anche di USA, Germania, Francia, UK), o
qualcosa di meno semplice, ma non particolarmente complesso come i respiratori
per attrezzare la terapie intensive.
Con il
perdurare della crisi, cosa avverrà alle reti di approvvigionamento e
distribuzione energetica e alla produzione e alle forniture alimentari?
Tra poco,
quello che tutti i paesi saranno costretti a fare, per la propria sopravvivenza
e quella dei loro cittadini, sarà l’opposto di ciò che era stato propugnato per
40 anni: dovranno dare luogo ad una sorta di economia di guerra (o di sopravvivenza, che dir si voglia), e questo
non potrà essere fatto dalla mano invisibile del mercato, ma da un’economia
pianificata dagli stati, che dovranno, giocoforza, dar luogo a qualcosa che era
impensabile fino a qualche settimana fa, per la visione del mondo che si era
imposta, ovvero una vasta e capillare opera di controllo e pianificazione
economica.
Andando
avanti con le limitazioni imposte in ocasine dell’epidemia, da Covid 19, la
crisi si approfondirà a tal punto che sarà necessario controllare l’emissione
di mezzi di pagamento e il credito per far fronte alla crisi di liquidità
generalizzata; mettere in atto una
gestione centralizzata della distribuzione energetica e della filiera
alimentare (sia sul lato della produzione che su quello della distribuzione);
un ferreo controllo dei prezzi per evitare fenomeni speculativi dovuti a
scarsità di determinate beni.
Naturalmente,
per evitare una catastrofe sociale dovrà esservi un serio sostegno diretto ai
redditi dei cittadini e alle aziende, con un piano di nazionalizzazione degli
istituti di credico , del settore produttivo, energetico e alimentare.
Ovviamente,
si dorvranno sostituire le filiere produttive internazionali con produzioni
locali per tutto ciò che sia ritenuto strategico, con una forma appropriata di
protezionismo.
Quanto
detto dovrà essere accompagnato da un piano di ricostruzione economica di
proporzioni superiori a quello effettuato nel dopoguerra. Se quest’affermazione
può sembrare un’esgerazione, forse lo è per chi non ha ben compreso la portata
della crisi che si dipanerà nei prossimi mesi: all’indomani della seconda
guerra mondiale, quando gli Sati Uniti mantennero praticamente intatte le
proprie capacità produttive e la propria forza economica, che consentì loro di
diventare il paese egemonico nel sistema-mondo “occidentale” ( e poi globale);
questa volta non vi sono aree del mondo che saranno esenti dal collasso del
sistema basato sulla globalizzazione e i suoi corollari che abbiamo descritto.
Scrisse Karl Polanyi:
“La nostra tesi è che
l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grossa utopia. Un'istituzione
del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza
annullare la sostanza umana e naturale della società; essa avrebbe distrutto
l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto. Era
inevitabile che la società prendesse delle misure per difendersi “
L’intrepido
nuovo mondo che si prospetta innanzi ai nostri occhi assumerà, per necessità,
una forma secondo la quale le esigenze della produzione e del commercio saranno
dettate da questioni strategiche e non dal mercato o dal profitto.
In tutto
questo, pur nella drammaticità degli eventi che ci troviamo ad assistere, vi è
una sottile ironia: quanto detto, che ha tutta l’aria di un programma politico
ed economico di sapore “socialista” (come quelli fortemente avversati da Hayek
e da tutta la sua cricca neoliberale), non sarà dettato da considerazioni
ideologiche relative alla giustizia
sociale, bensì dalle mere necessità di sopravvivenza del sistema.
Ma,
crollando la base strutturale che le reggeva, crolleranno, in maniera
ingloriosa (non essendo degne di alcuna gloria) le sovrastrtture culturali
della Weltanschauung globalista, in primo luogo l’onnipresente e stucchevole
economicismo in salsa neoliberale.
[1] Il famoso “There Is No Alternative”
dichiarato da Margareth Thatcher
[2] Letalità
della quale si conoscono solo i numeri assoluti, ma non la percentuale, in
quanto si ignora il denominatore, ossia il numero reale degli infettati
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