LA TRAPPOLA DELLE PAROLE: oltre il bipensiero orwelliano

Di Maria Micaela Bartolucci

Prologo

Dagli anni ottanta è partita la corsa, non più occulta, alla costruzione di una società basata sui parametri indicati da diversi romanzi distopici, una sorta di 1984 work in progress.

Molti aspetti legati al controllo sono già stati evidenziati ed approfonditi, in diversi interventi, sia grazie ad articoli comparsi su Frontiere sia grazie agli approfondimenti/denunce di Scientocrazia, ma altri sono ancora da esplorare per rendere appieno la complessità di questa società mondializzata che stanno ancora creando, proprio sotto i nostri occhi, chiusi da false problematiche, ed oltre il nostro sguardo distratto perché incanalato su aspetti secondari del vivere, primi tra tutti l’economicismo e l’individualismo che hanno contribuito ad alienare l’essere umano sociale e pensante allontanandolo da se stesso.

Alain de Benoist ci ha messo già in guardia sulla confusione tra società liberale ed economia liberale e sul fraintendimento che nasce quando si parla di liberalismo e neoliberalismo (Contre le libéralisme. La société n’est pas un marché, 2019) in modo talmente eloquente da ritenere inopportuno, se non tautologico, ripetere un concetto così mirabilmente spiegato.

Costanzo Preve ha denunciato il tradimento della sinistra, un inganno semantico che è costato caro a tutti coloro che hanno creduto negli ideali che i suoi rappresentanti hanno finto, per anni, di difendere e che, mutatis mutandis ha condotto al PD ed alle catastrofiche riforme che, ahinoi, ben conosciamo.

L’inganno delle parole usate in modo totalmente arbitrario da vita ad un elenco lunghissimo, in ogni campo: politico, sociale, culturale…

Il lemma “riforma”, per esempio, unito a scuola, lavoro, pensioni o università deve essere letto distruzione, peggioramento; “governo tecnico” vuol dire, in realtà abdicare, per incapacità, ad un vincolo esterno; “obbligo vaccinale” significa medicalizzare i sani; “azienda ospedaliera” …bhe, questo, come abbiamo ben capito, è proprio un ossimoro; “restiamo umani” usato per diffondere disumanizzazione dell’essere, schiavismo, prostituzione ed altri crimini contro l’umanità.

Uno vale uno, magnifica locuzione vuota, che sappiamo essere uno dei raggiri peggiori, perpetrati ai danni di milioni di italiani, da parte di un‘associazione che si è chiamata Cinque Stelle in assenza di persone che brillassero.

Movimento delle sardine, ovvero un sodalizio di pesci, muti per antonomasia, che nuotano in branco.

“Le parole sono importanti” 

E’ evidente che il linguaggio è parte integrante di questa disgregazione politica e culturale, la comunicazione è alla base di ogni processo sociale ed il pensiero dominante, figlio del neoliberalismo, lo sa bene e lo adopera con doviziosa imprecisione, senza lasciare nulla al caso.

Esaminando ogni romanzo distopico ci rendiamo conto che in ognuno di essi esiste la creazione di una nuova lingua, per instillare un nuovo pensiero, perché chi parla male, pensa male (cit.) quindi notiamo criteri linguistici restrittivi, parole tabù ed altre alterazioni dei paradigmi espressivi.

Nel mondo “reale” tale processo è iniziato in maniera dolce e quasi sottotraccia e ci ha portato da “single è bello, esortazione al consumismo individuale che permette di triplicare ogni spesa (quindi il profitto, per usare un termine vetero) alle “quote rosa” la risposta più offensiva per l’intelligenza di qualsiasi essere umano.

Iniziava la costruzione di una società imperniata su una sorta di nuova lingua in cui significato e significante non solo non erano più in relazione, ma, se analizzati bene, appaiono in contrapposizione.

Ci sono però delle operazioni che vanno oltre l’immaginazione più sfrenata, creazioni che, per come sono state concepite e promosse, assurgono al ruolo di Capolavoro assoluto della devastazione sociale costruita su solide basi psicologiche le cui molteplici finalità hanno presto dato i loro amari frutti.

Sociale ed asociale, comunicazione non comunicativa: l’irrealtà virtuale, chi controlla chi?

Negli anni 2000 nascono i Social Media (social network), ovvero mezzi di comunicazione sociali. Il vero Capolavoro del neoliberalismo, la perfezione assoluta del pensiero dominante, il trionfo dell’individualismo.

Che cosa sono in realtà i social media? Sono ciò che vi è di più lontano dalla socializzazione, sono agli antipodi della comunicazione, l’opposto di ogni relazione umana. Il nome giusto sarebbe stato, chiaramente, Asocial media ma questo ne avrebbe reso noto lo scopo e quindi li avrebbe resi molto meno seducenti.

Queste scatole virtuali, ermeticamente chiuse e controllate dall’esterno, in cui si incanalano le relazioni interpersonali, la rabbia, ma anche l’affetto, la condivisione, l’ironia e perfino il dolore sono la valvola di sfogo più utile per intrappolare tutto ed evitare che trovi altre forme espressive, non a caso i pulsanti usati per comunicare sono rappresentazioni iconografiche di una serie di emozioni.

Può esistere vera interazione nel virtuale? No. Intanto perché non può sussistere un vero dialogo senza vedersi: senza l’ausilio della comunicazione gestuale, il meta linguaggio, che ci aiuta a capire gli altri ed indovinarne le loro emozioni, anche, e soprattutto, quelle celate che vanno oltre le parole; senza questo ausilio siamo nel Teatro Kabuki.

Come pensiamo sia possibile comunicare realmente e profondamente con qualcuno che non vediamo, che non guardiamo negli occhi? Come pensiamo di poter condividere un’idea, un pensiero o, addirittura, un’emozione, fatto questo ancor più patetico, con qualcuno che non possiamo guardare e di cui non conosciamo, con certezza, né il sesso, né l’aspetto fisico né, tantomeno, il pensiero? Come possiamo essere così superficiali da credere in questa comunicazione, in questa assurda condivisione? Un moltiplicarsi di account, di asocial media sempre più asociali, da Face Book, che ha addirittura la pretesa di fornire le generalità di coloro con cui comunichiamo, superba ironia, a Twitter con la sua bio che è quanto di più lontano ci sia dal concetto di biografia ad Instagram che, insieme all’uso dei Gift, travalica qualsiasi pensiero per raggiungere il nulla, l’aspetto più esteriore che ci sia, la superficialità eletta a dogma, il pensiero negato perché ridotto a semplice immagine.

Un’operazione mirabile di allontanamento, di scissione dalla realtà, una trappola epistemica in cui sono caduti, felicemente tutti: non solo superficiali bamboline incantate dal poter mostrare a tutti le proprie grazie o testosteronici Big Jim in cerca di facili sfoghi ormonali, ma anche intellettuali, accademici, dotti, medici e sapienti…nessuno escluso

I meccanismi di interazione sono fallaci perché contengono un fraintendimento di fondo, giocano su termini di cui noi conosciamo perfettamente il significato profondo ma che poi utilizziamo, comandati dalla strategia del pensiero dominante, non nella loro originaria accezione, bensì nel modo in cui, chi ha deciso le regole del gioco, vuole che noi le usiamo.

Amici, richieste di amicizia, seguaci, condividere…tutti termini usati superficialmente e, nella maggior parte dei casi, tra persone che non si conoscono e che non sanno nulla l’uno dell’altro… un calappio linguistico e sensoriale evidente.

A questo concetto si lega un altro magnifico esempio “Sesso virtuale”: qui siamo all’apoteosi, alla perfezione assoluta perché sono riusciti a convincere che masturbarsi da soli con l’amante che fa la stessa cosa dall’altra parte di uno schermo, si possa definire “fare sesso”, peggio ancora in chat, a parole, con entità di cui puoi persino ignorare il sesso o l’aspetto fisico reale.

  Epilogo

La trappola delle parole è un’operazione perfettamente riuscita, le magnifiche sorti e progressive si sono rivelate essere il verme che nasconde l’amo, resta da chiederci fino a quando saremo d’accordo a giocare ad un gioco in cui noi siamo solo le pedine e di cui, quindi, ignoriamo, o fingiamo di ignorare, le regole, fino a quando permetteremo che si distrugga la nostra vita culturale, sociale e politica, fino a quando durerà questo che da Gran Mercado del Mundo è diventato Gran Teatro del Mundo.

Michel Houellebecq ha scritto una bellissima lettera, pubblicata da France Inter in data 04.05.2020, che riassume magistralmente l’iperbole di questo tempo distopico.

“…il coronavirus, al contrario dovrebbe avere, come risultato principale, quello di accelerare alcuni cambiamenti già in atto. Da un certo numero di anni, l’insieme delle evoluzioni tecnologiche, sia di carattere minore (video on demand, pagamento elettronico) o maggiore (smart working, acquisti in internet, i social media) hanno come principale conseguenza (principale scopo?) di diminuire i contatti materiali, soprattuto quelli umani. L’epidemia di coronavirus offre una magnifica ragione di esistere a questa tendenza grave: una sorta di obsolescenza che colpisce le relazioni sociali. Questo mi ha fatto pensare ad una illuminante comparazione che avevo rilevato in un testo contro la PMA redatto da un gruppo di attivisti chiamati “Gli scimpanzè del futuro” (ne ho scoperto l’esistenza in internet; non ho mai detto che internet avesse solo inconvenienti). Dunque, li cito: « da qui a breve, fare dei figli da soli, gratuitamente, e per caso, sembrerà tanto incongruo quanto fare l’autostop senza una piattaforma web» …Noi non ci risveglieremo, dopo la clausura, in un mondo nuovo; sarà lo stesso, solo un po’ peggio.


Se tutto quello che è accaduto in questi mesi di clausura, di privazione delle libertà, di negazione della socializzazione, non ci ha spinto a studiare, riflettere, ovvero capire e ribellarsi allo status quo, allora siamo già morti e non sarà stato il Covid-19 ad ucciderci.










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