Contro la mondializzazione
Di Inessa Armand
La globalizzazione è la trappola
più efficace creata dal capitalismo. E’ la massificazione della subcultura
mondiale.
La “Mondializzazione imperialistica”, come la chiamava
C.Preve, cogliendone esattamente la portata e la gravità, è un fenomeno che
abbiamo iniziato a conoscere davvero solo a partire dagli anni novanta quando
si è cominciato a capire che la globalizzazione dei mercati, appena iniziata,
avrebbe portato “ad una dittatura incontrastata dell’economia”. Era necessario
aumentare il profitto, per farlo sono state adottate diverse strategie che
permettessero di abbassare i costi di produzione: creare nuovi mercati, quindi
dislocare, aumentare la competizione, quindi far scendere i salari.
I mercati emergenti, orientali e no, sono paesi in cui le
condizioni di vita sono così basse da permettere di trovare manodopera a salari
impensabili in un qualsiasi paese europeo. Sono luoghi in cui il degrado
culturale e sociale è tale da consentire uno sfruttamento totale, la
mercificazione al suo massimo grado, l’individuo ridotto a nulla e che non ha
alcun valore, se non in quanto merce: nessuno si salva, neanche i bambini, alla
faccia della Convenzione sui diritti dell’infanzia e di tutte le ONG che
giocano a difendere l’umanità!
Abbassare i salari, almeno in
Italia, ha richiesto uno sforzo maggiore e più dilatato nel tempo, ci hanno
impiegato decenni ma ci sono riusciti: l’abolizione dell’art.18 ed il Job Act
ne sono solo due recenti esempi concreti; ma occorreva qualcosa di più
efficacie per distruggere totalmente ogni residua resistenza. Era necessario
importare manodopera a costo zero, orizzontalizzare il conflitto e distrarre
l’attenzione della sinistra, quando ancora esisteva ed aveva un senso, verso
nuove mirabolanti forme di mobilizzazione.
Il grosso del lavoro era già posto in essere, il resto son
varianti in corso d’opera.
“La globalizzazione ipercapitalistica ha bisogno di una
religione di massa, e questa religione di massa è l’onnipotenza dell’economia.
I nuovi idoli sono gli indici di borsa… Le nuove cerimonie religiose sono
officiate da mezzibusti televisivi sorridenti che si consultano con economisti
che ripetono solenni parole in inglese.”
Era altrettanto chiaro che questa dittatura incontrastata,
che ha come unico parametro di giudizio quello economico di scambio, avrebbe
esteso l’accezione semantica del termine ad altri ambiti, principalmente quello
sociale e culturale. Questa è la vera catastrofe, il punto di non ritorno.
Ogni paese ha una sua storia, un
proprio sviluppo culturale, sociale e politico determinato da fattori
peculiari, da lotte, da trasformazioni cruente o meno, le influenze culturali
si determinano e si sono determinate, nello scorrere di millenni, per
prossimità, per scambio. Questo è, storicamente, quello che si intende per multiculturalismo.
Se il fenomeno di contaminazione viene provocato artificialmente, se viene
deciso e pianificato, allora, siamo di fronte ad una scelta cosciente, ancorché
scellerata, di distruzione totale, di diffusione della barbarie ed il risultato
non è una crasi ma un’accozzaglia di nulla. Come si può parlare di scambio con
la subcultura americana, con quella post-coloniale africana o, peggio ancora,
con la parte più becera ed incolta dell’islam importato da queste masse
insipienti che invadono le nostre periferie? Nessuno scambio culturale è
possibile, siamo di fronte ad un meditato processo di colonizzazione del nulla.
La realizzazione di questo nulla necessitava una nuova
generazione di esseri “umani” che fosse più facilmente malleabile e condizionabile.
Per farlo era necessario sradicarli, globalizzarli ed omologarli. Il passo
successivo è stato, conseguentemente, abbassare il livello culturale, agendo
sull’educazione; si è iniziato con le università, la Riforma Ruberti andava
proprio in tal senso, per poi procedere con le scuole di ogni ordine e grado
che sono diventate contenitori di uniformizzazione del pensiero, finalizzati
alla formazione di individui totalmente acritici: Berlinguer, Gelmini e Fedeli hanno
iniziato l’opera e Bussetti si è occupato delle rifiniture ma non finirà con
lui perché il degrado è sempre perfettibile.
Il progresso della “distruzione
totale della storia” e della civiltà, aggiungo io, doveva essere, però, totale
quindi niente poteva essere lasciato al caso.
In trent’anni hanno fatto in modo che gli uomini credessero
di aver bisogno delle stesse cose, avessero gli stessi valori, gli stessi
gusti, gli stesi desideri, gli stessi obiettivi: le peculiarità culturali sono
state azzerate ed Il consumismo è stato uniformato e mondializzato.
Le catene di negozi, che vendono gli
stessi prodotti a Parigi o a Tokio, sono solo l’epifenomeno di una
standardizzazione profonda che ha portato, nazioni con una cultura culinaria
immensa come Francia ed Italia, a consumare la spazzatura prodotta da McDonald
o Starbucks e, questa stessa logica, fa acquistare un SUV ad un idiota che vive
in una cittadina medioevale dell’Umbria in cui le strade erano fatte per
lasciar passare una carrozza.
Il fine è quello di essere trasformati in un branco di pecore,
sempre in aumento, che consuma spasmodicamente la stessa merce, che ascolta la
stessa musica, che legge gli stessi libri, quando legge, che vuole trovare, ovunque,
le stesse cose, che va nei Sushi bar, ignorando cosa sia la meravigliosa arte
della cucina giapponese, perché deve essere attratta dall’abbuffarsi come
maiali all’ingrasso, con l’All you can eat!
Le élites neoliberali vogliono un’orda
di poveri imbecilli, incolta, priva di radici e disperatamente sola, rimbambita
dalla virtualità dei social media, che scambia per la realtà. Ecco come si
arriva al paradosso di tanti esseri umani trasformati in bestie e come bestie
al macello, in coda, per ore, per acquistare, per prime, un paio di miserabili
scarpe da ginnastica o un telefonino come fosse qualcosa di unico ed
irripetibile, semplicemente perché questo gli hanno fatto credere, questo gli
hanno fornito come valore supremo. Già pronti per il transumano, per i
microchip, già uniformati ai desiderata del Capitale.
Animali d’allevamento, privi di
gusto o di un punto di vista personale, impossibile da sviluppare se non
adeguatamente stimolato, tutti uguali, come tanti inutili ed ignari soldatini,
proni al volere del Grande Fratello, al “thought control”. L’esatta messa in
atto dello spettro paventato in The Wall.
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Il virgolettato è di C.Preve da Nazione
italiana, Europa, Mediterraneo, 1998
Con
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