La scienza al governo e il governo della scienza



Di Pier Paolo Dal Monte


Cosa accade quando la scienza diventa ideologia e viene canonizzata in guisa di articolo di fede? Cosa succede quando ogni critica è stigmatizzata come eresia o apostasia, e su di esse si avventa il Malleus Maleficarum del potere e del suo clero opportunista?



Si presuppone che, nelle moderne democrazie, le istituzioni politiche (parlamenti e governi)  siano espressione della volontà della popolazione che, col voto e con altri mezzi di pressione chiede che ne siano rappresentate le diverse istanze.

In genere, si tratta, pur sempre, di una rappresentazione assai imperfetta di quello che il termine “democrazia” dovrebbe indicare, in quanto, i gruppi di potere riescono, in genere, ad orientare l’espressione popolare mediante i mezzi di informazione e, in modo più profondo e persistente, costruendo la cultura dominante (scuola, università, “intellettuali” di riferimento, ecc.).

Tuttavia, negli ultimi anni, questi strumenti di influenza, hanno funzionato in maniera sempre meno efficace. Eh sì, si possono fornire circenses finché si vuole, ma se manca il panem, dopo un po’,  i suddetti perdono di credibilità e il popolo si appassiona sempre meno alle loro favole e ai loro spettacoli.

D’altronde, pareva brutto lasciare che i “deplorevoli”, il popolino ignorante si esprimessero contro i desiderata delle èlite, riverberati dagli uggiolii del loro clero (giornalisti, accademici, opinion maker de ‘sta ceppa, ecc,).

Era quindi, più che mai, necessario l’uso di alcune “tecnologie governamentali”, ovvero strumenti di governo diversi da quelli che si considerano di pertinenza della sfera politica, e che avessero una maggiore efficacia rispetto al semplice controllo dell’informazione o della creazione di una “cultura dominante”.

Non si potevano abolire con un colpo di spugna tutti i riti delle moderne democrazie costituzionali, in primis le consultazioni elettorali, pertanto era necessario instaurare una sorta di “stato di eccezione” permanente che consentisse di eludere la volontà popolare, ma non avesse (troppo) le sembianze del dispotismo.

La migliore opzione era quella di esercitare “la tecnica di governo attraverso la tecnica”: la tecnocrazia, in modo che la politica fosse sempre  assoggettata ad un vicolo esterno, una sorta di “pilota automatico” costituito da algoritmi che possono essere di natura economica, sanitaria, climatica, demografica, ecc.  Ovvero introdurre una “ratio”, una misura di credibilità, un criterio di valore che valutasse e, in ultima analisi, assoggettasse la politica ad un “regime di verità” tecnico-scientifica.



Negli ultimi anni si è tentato, con un certo successo, di confezionare questa tecnocrazia mediante il paradigma economicista (in fondo, il capitalismo liberale è costruito su un’ontologia di siffatto genere): tutti ricordano il clima da tregenda che si era instaurato per motivare l’insediamento del governo Monti (il “governo dei tecnici”).

Tuttavia il paradigma economicista ha avuto una vita limitata: tutti gli inganni, prima o poi si disvelano, quindi diviene via via necessario cambiare le “tecniche” adottate.

Naturalmente, questa verità non è altro che un artifizio “governamentale” meramente ideologico: la scienza non è mai “neutra” ma, a propria volta, riflette sempre l’ideologia e i rapporti di forza che danno forma alla società. In questo modo essa contribuisce a creare una certa immagine della realtà determinando l’«orizzonte del possibile», ovvero la realtà che è lecito non solo concepire, ma anche percepire, i confini entro i quali è delimitato il pensiero della cosiddetta «opinione pubblica.

Da qui si capisce l’utilità dell’ uso ideologico della scienza, che funziona come tanti altri strumenti di governo «impliciti»: limitando i confini della realtà, per ciò stesso, mantiene il pensiero all’interno recinto della visione del mondo dominante.

Questo uso strumentale della scienza è diventato particolarmente evidente negli ultimi anni: si pensi, ad esempio al ridicolo slogan elettorale apparso nelle ultimi elezioni politiche che recitava testualmente: “Vota la scienza, scegli il PD”. Secondo questa puerile espressione di pensiero magico, esistono forze politiche che seguono “la scienza” e altre che ne sono contro.

Naturalmente la “scienza” in oggetto è quella parodia dogmatica e ideologica di scienza che, in quanto dogma, non può essere messa in discussione e, ben lungi dall’essere criterio veritativo, ha la funzione di censurare ogni dissenso. Ossia, è quanto di più lontano dalla scienza così come è definita dal metodo scientifico. Come osserva il Pedante:



“Oggi non servono grandi sforzi ermeneutici per constatare che le politiche più controverse fondano tutte, in un modo o nell'altro, le proprie ragioni nella presunzione di «evidenze» scientifiche alla cui autorevolezza non ci si può opporre senza apparire retrogradi, nostalgici o superstiziosi. Dalle emergenze del «clima» alle «dure leggi» dell'economia, dal trasferimento in massa di esseri umani da un continente all'altro alla foga di digitalizzare, automatizzare e connettere ogni cosa, dalle nuove teorie pansessuali all'imposizione di protocolli pedagogici e sanitari, ciò che «dice la scienza» è diventato il nuovo «Deus vult», l'ultimo talismano per superare magicamente, in senso ferencziano, le fatiche e i compromessi di una democrazia sempre più mal tollerata dai suoi protagonisti”.



Il "Patto trasversale per la scienza" sottoscritto da personalità politiche e accademiche ha segnato l'ultimo, grave episodio di questa tendenza. Il tentativo esplicito di impegnare le forze politiche a reprimere tutto ciò che, nell'idea dei proponenti, non è "scientifico", rappresenta un pericolo per il libero avanzamento delle conoscenze e, quindi, per il progresso e la sicurezza di tutti. Il principio di autorità, sempre nemico del metodo scientifico, lo è tanto più se si dota degli strumenti repressivi di uno Stato.

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È bene fare quindi un po’ di chiarezza per frenare questo tipo di deriva che sta conducendo alla morte della politica e  a quella  della scienza come libero metodo di indagine e non come dottrina della fede. Questo è ciò che si propone di fare l’associazione Eunoè, lanciando un Manifesto per la scienza in cui sono riassunti i suoi principi ispiratori.














Articolo 1

La scienza non è un catalogo di conoscenze, ma uno specifico modo di essere della conoscenza, un canone per organizzare una determinata modalità di interpretazione della realtà tramite un sistema di metafore.

Articolo 2

La scienza non può essere una metafisica surrogata, pertanto non è fatta di dogmi. In particolare:

  • ogni "verità" scientifica non è assoluta perché ha una natura probabilistica e può essere smentita nel tempo col progredire delle conoscenze;
  • la comunità scientifica è un corpo plurale che esprime una pluralità di modelli, interpretazioni e applicazioni, spesso in reciproco conflitto, comunque irriducibili all'idea di una "verità" o di un "consenso" scientifici;
  • le teorie e i modelli scientifici non sono semplici ipotesi o descrizioni di porzioni di mondo, ma il risultato di un vasto e intricato processo storico, culturale, economico e sociale;
  • anche la scienza, come ogni altra attività umana, è condizionata nei suoi obiettivi e nei suoi risultati dagli interessi degli individui e dei gruppi di potere dominanti.

Articolo 3

Nessuna forza politica e nessun cittadino responsabile deve prestarsi a sostenere o a tollerare in alcun modo forme di scientismo, ossia concetti di scienza dogmatici, semplicistici o riduttivi.

Articolo 4

La negazione dell’incertezza e della condizionabilità delle conoscenze scientifiche è scorretta soprattutto quando si applica alle scelte politiche perché favorisce l’adozione di decisioni basate su conoscenze parziali e incomplete e, quindi, arbitrarie. Ciò comporta un rischio triplice:

  • che la politica adotti un sapere scientifico selezionato e semplificato in forma autoritativa per esercitare un potere svincolato dai processi democratici;
  • che i messaggi provenienti dalla comunità scientifica non conformi agli obiettivi politici del momento siano scoraggiati, ostracizzati o negati, minando così la fondamentale libertà di sviluppare e diffondere la conoscenza.
  • che i cittadini identifichino questa concezione strumentale, squalificante e potenzialmente oppressiva della scienza con il patrimonio, il metodo e i protagonisti della conoscenza scientifica nel suo complesso, facendo di quest'ultima l'oggetto di una pericolosa e indiscriminata crisi di sfiducia.

Articolo 5

L’uso della scienza per legittimare le decisioni politiche è sempre più diffuso. Tuttavia, la politica non è né può essere una mera applicazione di postulati tecnico-scientifici, perché il suo ambito è quello di un agire collettivo fondato sulla negoziazione, la mediazione e il compromesso tra istanze diverse. Se la nostra società vuole continuare a definirsi democratica deve instaurarsi tra i due domini un rapporto dialettico e fondato sul reciproco rispetto. È perciò cruciale che i saperi che si pongono a fondamento delle scelte politiche siano sottoposti ad adeguati processi di indagine e di riflessione epistemica e democratica per far sì che le istituzioni possano adoperarli in modo trasparente e affidabile.





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